In guerra contro tutti


Da qualche tempo mi sto ponendo un dubbio, osservando il comportamento del Movimento 5 Stelle. Il dubbio nasce nell'osservare come, nella realtà politica nazionale e locale, i membri di questo movimento tendano a non voler solidarizzare con i membri degli altri partiti politici. Una distanza e una rigidità non giustificata se non da una vera e propria ideologia, tanto che comportamenti di questo tipo siano avvallati dal leader del M5S che, anzi, tende a sottoporre al pubblico giudizio chi a questi comportamenti si oppone.
Una domanda che non sono probabilmente il solo a pormi:
Basta leggere il libro-manifesto ‘Siamo in guerra’, secondo il quale in Italia non c’è nulla al di fuori del M5S e della sua ortodossia. Ed è in corso appunto una guerra tra lui (con le sue  fedeli truppe) e il resto del mondo.
Questa impostazione – per quanto semplificatoria e a volte bugiarda – probabilmente è stata utile quando in passato è stata implementata verso l’esterno: porsi in modo del tutto alternativo rispetto a chiunque altro e indicare chiunque altro come parte del sistema e dell’establishment, ha rafforzato la posizione del M5S rispetto all’establishment stesso.
La stessa impostazione tuttavia rischia di diventare pessima se declinata meccanicamente anche verso l’interno, se cioè ci si circonda solo di yesmen, se l’allergia al confronto diventa monocrazia assoluta, se per amore di se stessi si impedisce che il M5S diventi un campo con mille fiori, magari dai colori non identici tra loro.
Lo dico, da esterno al M5S e neppure suo elettore, per la ragione di cui sopra: e cioè che c’è molto bisogno di un’opposizione decente, visto che abbiamo una maggioranza indecente. E perché se in futuro questo establishment scricchiolante dovesse davvero cedere, per costruire un’alternativa migliore ci sarebbe bisogno delle persone migliori, non di quelle più fedeli.
No?

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