In cerca di una Casa Bianca per l'Unione Europea
Continuiamo i nostri ragionamenti in merito all'Europa, facendo nostro un intervento di Giorgio Tonini, Vicepresidente del Gruppo PD.
La crisi dei
debiti sovrani europei ha messo in evidenza un duplice squilibrio, in seno
all'Unione e in particolare all'area dell'euro: tra finanze pubbliche più e
meno indebitate; e tra paesi con la bilancia commerciale in deficit o invece in
surplus. E tuttavia, lo squilibrio interno all'Europa non sarebbe
insostenibile, se accanto e insieme a quello dell'Unione monetaria, l'Europa
avesse eretto altri due pilastri: l'unione economica, ossia una politica comune
sia della finanza pubblica che dell'economia reale; e una vera unione politica,
ovvero la legittimazione democratica di un vertice di governo dell'Unione.
Così non è stato, l'Europa si è così
rinchiusa in una gabbia dalla quale è ora assai difficile uscire. La divergenza
economica si sta infatti trasformando in divaricazione politica, alimentata da
opposti populismi, entrambi euroscettici, quando non antieuropeisti:
divaricazione tra i paesi in surplus, che lamentano i costi eccessivi e il
moral hazard della "solidarietà" nei confronti dei
"paesi-cicala"; e i paesi indebitati, sempre meno propensi a
sopportare l'imposizione, da parte dell'"egoismo" dei più forti, di
un rigore finanziario dal sapore punitivo e che produce effetti depressivi sul
piano economico, oltre che destabilizzanti su quello sociale.
Per uscire dalla gabbia, l'Europa ha
bisogno di due chiavi: una sta a Roma, l'altra a Berlino.
La chiave che è a Roma è nota ed è da due
anni che si sta lavorando ad azionarla: dalle manovre finanziarie di Tremonti
nell'estate 2011, quando il Governo Berlusconi si impegnò con Bruxelles (e con
Berlino) a raggiungere già nel 2013 l'equilibrio strutturale del bilancio,
passando per gli "spettacolari" (Merkel) interventi del Governo
Monti, fino alla conferma degli impegni europei da parte del Governo Letta.
Come è ormai evidente, non si tratta per l'Italia solo di varare severe manovre
congiunturali. Si tratta piuttosto di mettere in atto riforme, sia del sistema
pubblico che dei mercati, che perseguano il duplice obiettivo di innalzare la
produttività della spesa pubblica e di migliorare la competitività del sistema
Italia.
Il
problema è che si va facendo sempre più difficile seguire una linea di rigore
finanziario e di riforme strutturali, in quanto tale inevitabilmente prociclica
e quindi recessiva, senza il contrappeso di politiche espansive ed anticicliche
sul piano europeo. Sta qui la necessità, se si vuole uscire dalla gabbia, non
di smettere di agire sulla chiave italiana, come vorrebbero in molti, nel Pdl
come nel Pd, ma di agire subito anche sulla seconda chiave, quella custodita a
Berlino.
In un saggio apparso sul sito internet di
"ForeignAffairs"il 17 novembre 2011, Why Only Germany Can Fix the
Euro, Matthias Matthijs e Mark Blyth sostengono che il problema dell'Europa non
nasce da un eccesso, ma piuttosto da un deficit di egemonia della Germania,
alla quale si può e si deve rimproverare di non aver finora voluto agire come
un "responsible hegemon" in Europa, garantendo un set di "beni
pubblici" che le istituzioni e le politiche dell'Unione, senza l'impegno
di Berlino, non sono in grado di offrire: un mercato per i prodotti dei paesi
meno competitivi, prestiti anticiclici a lungo termine, tassi di cambio
stabili, coordinamento macroeconomico e prestiti di ultima istanza durante le
crisi finanziarie.
Ma un nuovo patto di stabilità e crescita
europea implica un salto di qualità politico-istituzionale.
Insomma, all'Europa serve non uno stato
(l'Europa è costitutivamente “poliarchica”), ma un’autorità di governo, una
"Casa Bianca", un presidente eletto dai popoli e bilanciato dagli
stati e dal parlamento. Non si tratta di una fuga in avanti, ma di una
necessità storica.