La vita del reporter di guerra in Siria.
Di Siria tante volte vi abbiamo parlato. Un tema, forse non totalmente apprezzato, ma al quale abbiamo voluto dedicare spazio proprio per la disattenzione abbastanza diffusa sui media, specialmente televisivi. Questa domenica vogliamo ritornare su questo tema, proponendovi una lettura particolare, che molto è circolata sulla Rete in questi giorni.
Parla della vita dei reporter che giornalmente rischiano la vita per raccontare le stragi e gli eccidi che si susseguono nelle zone di guerra, dove bimbi vengono assoldati per strada e dove si combatte ad ogni angolo. Reporter che, a differenza di qualche decennio fa, si muovono nel più dei casi in maniera autonoma, senza il supporto di testate giornalistiche che ne coprano le spese e che ne garantiscano salva-condotti. Il mestiere di reporter di guerra si parte da freelance, sostenendo interamente le spese del periodo vissuto in quelle condizioni, con la speranza di rivendere poi l'articolo a qualche offerente.
A prezzi, poi, davvero stracciati. Un mestiere svolto per passione, a costo di un rischio notevole.
L'articolo, scritto da Francesca Borri, è perfetto per raccontare quella vita, ed arriva come un pugno allo stomaco, facendoci sentire inadeguati, insofferenti per la nostra disattenzione, desiderosi di sfogliare l'ultimo numero di Limes e dell'Internazionale.
A un giornale chiedo di più. Chiedo analisi, chiedo approfondimento – chiedo di capire, non solo di sapere. Perché la crisi, oggi, è dei giornali, non dei lettori: i lettori ci sono, e contrariamente a quanto pensano i direttori, sono lettori intelligenti, che vogliono cose intelligenti: semplicità, ma non per questo semplificazione – perché poi io ogni volta che pubblico il pezzo di colore, cioè, poi trovo sempre queste dieci mail, gente che mi dice sì però, bellissimo pezzo: magnifico affresco: però io voglio capire cosa succede in Siria, e io vorrei tanto rispondere che non posso fare un’analisi, perché se tento un’analisi me la cestinano dicendo e tu chi sei, bimba, per fare un’analisi?, anche se ho due lauree, un master due libri e dieci anni di guerre sparse, alle spalle, e la mia giovinezza, onestamente, è finita ai primi pezzi di cervello che mi sono schizzati addosso, avevo ventitrè anni ed ero in Bosnia.
Se davvero avessi capito qualcosa, di questa guerra, non avrei avuto paura di amare, paura di osare, nella vita, se solo davvero avessi capito qualcosa, della Siria, di questa vita che forse tra un minuto finisce, e invece di essere qui, adesso, stretta al muro in quest’angolo rancido e buio, a rimpiangere disperata tutto quello che non ho avuto il coraggio di dire, ora che è tardi, è tardi per tutto, e come ho potuto perdere quanto di più bello avevo? – e perché è questa l’unica cosa da raccontare, di una guerra, il solo pezzo che davvero avrei dovuto scrivere, ora che è tardi, invece che distrarmi tra ribelli lealisti, sunniti, sciiti, l’unica cosa da capire: la storia che mi è rimasta impigliata tra le dita: voi che potete, voi che domani siete vivi, ma che state aspettando? perché non amate abbastanza?, l’unica cosa da scrivere, da queste macerie, se solo davvero avessi capito qualcosa: voi che avete tutto, ma perché avete così paura?
Buona lettura, il resto lo trovate qui.