Il Papa a Lampedusa. E di migranti si torna a parlare.

170 km più a nord della costa tunisina c'è Lampedusa. Un'isola diventata un approdo, una lancia di salvataggio sul Mediterraneo, nella quale migliaia di profughi in questi anni hanno riconosciuto la propria porta verso l'Europa.
8400 migranti sono sbarcati li soltanto nei primi sei mesi del 2013, circa il doppio rispetto allo stesso periodo del 2012.
Ma tra quanti arrivano, il numero dei morti durante la traversata è sempre drammaticamente alto. 40 negli ultimi sei mesi, 500 migranti morti nell'anno precedente, secondo i dati dell'commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati.
Fortress Europe, un osservatorio italiano che controlla la situazione dei migranti che cercano di entrare in Italia, denuncia che tra 1994 e il 2012 sono morte 6.450 persone mentre tentavano la traversata del canale di Sicilia.

Numeri che da soli spiegano quanto la visita di ieri di Papa Bergoglio a Lampedusa sia stata fondamentale per riaccendere i riflettori su una vicenda che per troppo tempo è stata ignorata o è stata strumentalizzata per fini politici, focalizzando sempre l'attenzione su un pericolo sicurezza.
Una visita dall'alto valore pastorale, perché riaccende l'attenzione sugli ultimi, e che assume una valenza politica, obbligando tutti ad interrogarsi su valori che, con la solita semplicità dialettica, ha sottolineato oggi nella sua omelia.
Omelia che andrebbe riletta per intero, ma della quale vogliamo sottolineare in alcune sue parti.

"Adamo è un uomo disorientato che ha perso il suo posto nella creazione perché crede di diventare potente, di poter dominare tutto, di essere Dio. E l’armonia si rompe, l’uomo sbaglia e questo si ripete anche nella relazione con l’altro che non è più il fratello da amare, ma semplicemente l’altro che disturba la mia vita, il mio benessere. E Dio pone la seconda domanda: «Caino, dov’è tuo fratello?». Il sogno di essere potente, di essere grande come Dio, anzi di essere Dio, porta ad una catena di sbagli che è catena di morte, porta a versare il sangue del fratello. Queste due domande di Dio risuonano anche oggi, con tutta la loro forza; tanti di noi, mi includo anch’io, siamo disorientati, non siamo più attenti al mondo in cui viviamo, non curiamo, non custodiamo quello che Dio ha creato per tutti e non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri. E quando questo disorientamento assume le dimensioni del mondo, si giunge a tragedie come quella a cui abbiamo assistito.".
Oppure:
Oggi nessuno nel mondo si sente responsabile di questo; abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna; siamo caduti nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote e del servitore dell’altare, di cui parlava Gesù nella parabola del Buon Samaritano: guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, forse pensiamo “poverino”, e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci tranquillizziamo, ci sentiamo a posto. La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza. In questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell’indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro.
Valori universali, che interrogano credenti e non credenti, e che cercano risposte, anche dalla politica, da quei partiti che professano totale appartenenza ai valori cristiani, dimenticando il significato però dell'accoglienza e del rispetto delle sofferenze altrui.
In una sorta di globalizzazione dell'indifferenza, dell'egoismo, che cerca risposte da un mondo troppo concentrato sulla ricerca del benessere personale.

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