Kyenge: "Io di colore? No, nera e fiera"


Cécile Kyenge ha 48 anni ed è un medico oculista. Nel 2009 è stata eletta consigliere comunale della provincia di Modena con il PD. È responsabile per l’Emilia Romagna delle politiche dell’immigrazione del PD. Nel febbraio 2013 è stata eletta alla Camera sempre con il PD.


Ora, Cécile Kyenge,  è il ministero per l’Integrazione del Governo Letta.


Nei giorni scorsi il ministro è stata oggetto di attacchi intolleranti, anche da parte di esponenti politici. Nella sua prima conferenza stampa, il ministro dell’Integrazione Cécile Kyenge ha detto a tal proposito:


«Io non sono di colore, io sono nera»

Il ministro – che ha ribadito «con fierezza» la sua origine congolese – ha invitato a «iniziare a utilizzare le terminologie giuste e i modi giusti per chiamare le persone».

Il ministro Kyenge ha affermato inoltre che la risposta risiede nel dialogo e nella conoscenza, per "abbattere i muri". "Non ho risposto personalmente a questi attacchi - ha spiegato - anche perché mi sono sentita abbastanza tutelata e ho avuto il sostegno di tutti i componenti del governo". Secondo il ministro, comunque, la sua nomina a un dicastero è "un cambiamento che doveva esserci in Italia".

Soprattutto un grazie lo ha voluto rivolgere all'altro ministro Josefa Idem, "ma - ha sottolineato - una solidarietà mi è giunta da parte degli altri esponenti del governo".

Il ministro Kyenge ha aggiunto: "L'Italia non è un Paese razzista, ha una tradizione di accoglienza e di ospitalità. Bisogna valorizzare questa tradizione". Gli attacchi sono "singole voci, che non sono la maggioranza, solo di chi urla di più"

Ma le vere risposte "agli attacchi contro la mia nomina deve arrivare dalla società civile, le dà quell'altra parte dell'Italia, quella dell'accoglienza e dell'ospitalità e ringrazio le tante persone e le istituzioni per come hanno reagito".

Anche la rubrica  "Buongiorno" di Massimo Gramellini di quest'oggi, ci racconta una bella storia di integrazione

Nadira è nata in Algeria da madre turca e padre mezzo tedesco e mezzo berbero. Quando le chiedono di che razza è, risponde: umana. Suo padre, Rachid Haraigue, ha combattuto il colonialismo francese e poi l’integralismo islamico, da presidente della Federcalcio algerina aprì alle donne gli stadi, ma soprattutto gli studi: chiamava la cultura «il passaporto delle algerine per il viaggio verso la libertà».

Si è preso tre pallottole nel cuore, alle otto di un mattino di gennaio. Ma prima era riuscito a far prendere a Nadira quel famoso passaporto. La laurea, il concorso, la borsa di studio per un master dell’Eni a Milano. Nadira ci è arrivata senza un soldo e senza sapere una parola della nostra lingua: la studiava di notte, cenando con lo yogurt risparmiato alla mensa di mezzogiorno. Si è piazzata fra i primi dieci, è stata assunta e si è innamorata di uno degli altri nove. Oggi ha una famiglia e una identità italiane. A tre anni suo figlio sapeva già l’inno di Mameli a memoria e ovviamente glielo aveva insegnato lei, che per l’Italia nutre la passione cieca e assoluta degli amori conquistati con fatica. Ogni volta che c’è un attentato, come quello al carabiniere di Palazzo Chigi, le si risveglia dentro qualcosa di tagliente e pensa al padre, a Falcone e a Borsellino: i suoi eroi.



Il bambino di Nadira ha mille sfumature nel sangue, una più di lei, che nella lettera più patriottica che abbia mai ricevuto scrive: 


«Credo in un Paese dove neri, omosessuali, atei, cristiani, musulmani ed ebrei possano vivere senza essere insultati. Dove una donna nata in Congo possa diventare ministra senza essere insultata». 

DoppiaM

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