Braccia ridate all'agricoltura


Braccia ridate all'agricoltura è il titolo
del dossier di questa settimana della rivista Vorrei.

Ivan Commisso si chiede se per l'agricoltura sia vero boom occupazionale. L'agricoltura, la promozione, la ricerca, lo sviluppo, il trasferimento delle innovazioni, la fornitura di servizi di supporto per i settori agricoli sono temi che ci stanno a cuore.

Leggiamo dal sito Vorrei.org:

Partiamo prima da un quadro di massima, necessariamente preso da fonti diverse e non sempre concordanti. Nell'Unione Europea, gli occupati nel settore agricolo sono il 5,1% del totale, tra l’altro con marcate differenze tra Ovest ed Est: 3,8% contro il 13,7% (in valori assoluti 6,8 milioni di persone contro 7,3 milioni). Non che in altre aree del mondo la situazione sia diversa, anzi. Negli USA gli addetti al settore agricolo sono appena l’1,9% [la fonte dei dati è Eurostat 2009 e Fao].

Prima evidenza: è errato pensare all’agricoltura come ad una idrovora di potenziali nuovi posti di lavoro. Tutti i trend dal secondo dopoguerra ad oggi dimostrano come l’agricoltura sia invece il regno degli incrementi di produttività grazie a meccanizzazione e nuove tecnologie a scapito della creazione di posti di lavoro, almeno su larga scala.

Secondo l’istituto di ricerca nazionale, gli occupati in agricoltura sono il 3,7% del totale, in strutturale calo (erano l’11% nel 1977). In valori assoluti parliamo di 849mila addetti, dei quali il 29,2% è donna (quest’ultima statistica risale al 2011). In particolare, lavorano in agricoltura il 2,65% della forza lavoro al Nord, il 2,39% al Centro e il 6,8% al Sud (nel Meridiano la percentuale era del 19,3% nel ’77).

Da notare che il saldo degli occupati in agricoltura al Nord è positivo (+1,5% rispetto al 2011), ben più che nei servizi (+0,6%) e nell’industria (-2,1%). In ogni caso, aumentano in tutta Italia i lavoratori agricoli salariati (ritorno della rendita agricola latifondista?)

Possiamo pertanto parlare di un rimbalzo occupazionale? Secondo Coldiretti, i dati Istat sono sufficienti per rispondere un chiaro e convinto sì: in tempi di crisi economica si ritorna ai campi. La stessa Coldiretti stima che abbia meno di 40 anni un lavoratore dipendente su quattro assunti. Inoltre l’ente mette in evidenza come aumentino del 29% le iscrizioni negli istituti professionali agricoli e del 13% negli istituti tecnici di agraria, agroalimentare ed agroindustria nell’anno scolastico 2012/2013.

Come va, infine, in Brianza? I numeri di partenza, tratti dal censimento agricoltura 2010 dell’Istat, sono impietosi. La superficie totale della provincia di Monza e Brianza rappresenta lo 0,14% del territorio nazionale mentre la superficie agricola totale provinciale è di 11.486,58 ettari, pari allo 0,07% del totale nazionale.

Di questi oltre 11mila ettari, ne sono utilizzati 10.274,9. A farla da padrone è il seminativo, con il 77,6% del totale. A vite sono coltivati appena 9,93 ettari, mentre le altre colture legnose arrivano a poco meno di 277 ettari. Censiti anche gli orti familiari, che assommano a 9,54 ettari. Come è ovvio che sia, ben più consistenti le superfici agricole a prato permanente e pascolo: oltre 2mila ettari.

Per quanto riguarda le produzioni zootecniche, difficile reperire dati. Secondo quanto riportato sul sito della Provincia di Monza e della Brianza, a farla da padrone è l’allevamento bovino da latte. Significativa anche la riscoperta delle peculiarità del territorio come la pecora brianzola, per la quale è nata una apposita associazione, sostenuta dalla comunità montana del Lario Orientale (provincia di Lecco).

Continua a leggere sul sito della rivista Vorrei.

DoppiaM

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