La 'ndrangheta conquista la Brianza con un «esercito di padroncini»


Il Cittadino di Monza e Brianza ci spiega come la 'ndrangheta, tramite una serie di camion in leasing, avesse costruito la sua rete di malaffare, estorsioni in Brianza.

E' questo, infatti, il quadro descritto dal gip di Milano, Giuseppe Gennari, in una sua ordinanza ripresa dalla Commissione parlamentare di inchiesta sugli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti, le cosiddette ecomafie.

Un'attività semplice - bassa professionalità e un camion in comodato - che garantisce ai clan «un serbatoio, pressoché inesauribile, cui attingere a piene mani per il controllo dell'intero settore della movimentazione terra e un notevole bagaglio di voti da far valere al momento opportuno nei rapporti con la classe politica.»

I parlamentari dicono che quell'esercito rappresenta un problema socio-politico, e che non c'è inchiesta giudiziaria dove la 'ndrangheta non l'abbia schierato.

«Il movimento terra costituisce il settore primigenio di interesse della 'ndrangheta imprenditrice». Dalla terra di cantiere alla scalata di grandi imperi alla conquista di soggetti ed esponenti della società civile, amministrativa e politica - «soggetti tutti accomunati da assoluta mancanza di senso civico, presi solo dal perseguimento del proprio particolare piccolo tornaconto» - alla spartizione del territorio. L'organigramma della ndrangheta in Lombardia è presto fatto: un'associazione denominata “La Lombardia” che coordina venti “locali” ognuno con una propria organizzazione autonoma e un proprio “capo locale”. «Complessivamente, nei suddetti venti Locali opera un vero e proprio esercito composto da cinquecento 'ndranghetisti».

“Infinito” (l'operazione Infinito, ne parlammo qui, qui e qui) non ha smantellato la ndrangheta in Lombardia: dei venti locali ne sono stati indentificati 17: «fatta salva l'avvenuta costituzione nel frattempo di nuovi, considerata la caratteristica reticolare della 'ndrangheta». Che nell'economia assume le sembianze di un virus, un «virus mafioso»: così la dipinge Andrea Pavone, un uomo del boss Salvatore Strangio, l'annientatore della Perego Strade di Ivano Perego.

Tanta liquidità illecita e quindi pochi rapporti con le banche, intimidazioni ai papabili concorrenti, assenza di contabilità, pagamenti esclusivamente in nero, subappalto del subappalto per eludere l'antimafia, recupero crediti con intimidazioni, smaltimenti illeciti dei rifiuti per tagliare i costi: questo il pedigree dell'azienda mafiosa di successo. Non si dimentichi poi il ruolo di prestanome: dall'inchiesta Caposaldo è emerso che quattro aziende dell'esercito, la Autostrasporti Al.Ma. srl, la Edilscavi Scrl, la Speed Trasporti srl e la Mfm Group srl avevano tutte sede legale: «presso lo studio del fidato commercialista Giovanni Santoro, in Monza, piazza Roma 10».

Santoro - secondo quando scrivono i parlamentari nella loro relazione - «appare come elemento chiave nell'evoluzione delle società sopra nominate, tanto che diverse riunioni con la presenza di Mascaro, Davide Flachi, Martino, si tengono proprio nel suo studio. Il suo ruolo è stato rilevante, anche perché il Santoro era prodigo di suggerimenti per evitare l'attenzione degli organi inquirenti. Egli era del tutto consapevole del livello criminoso dei suoi clienti».

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