Elezioni in Sicilia. Uno sguardo per l'Italia che verrà.

Mentre stiamo qui seduti ad attendere le sessioni elettorali che più direttamente ci vedranno coinvolti nel prossimo futuro, le recenti elezioni Siciliane ci offrono un'importante occasione di analisi per comprendere lo spirito con il quale gli Italiani guardano alla politica e, di conseguenza, quali saranno i temi che influenzeranno nei prossimi mesi le campagne elettorali.

Il tema che sembra emergere con maggiore forza è quello dell'astensionismo, che ha raggiunto il 52,6%, un valore che si assesta tra i minimi storici, anche per una regione che mediamente si reca alle urne con minore entusiasmo rispetto al resto dell'Italia.

Un dato, da interpretare da diversi punti di vista.

In primo luogo da collocare in un quadro più generale di disaffezione alla politica, percepita come incapace di dare risposte e interessata al proprio tornaconto. In questo senso, i precendenti governi Cuffaro e Lombardo, oltre agli scandali nazionali, hanno contribuito in maniera sostanziale nell'avvalorarsi di questa percezione comune. 

Altro aspetto, non indifferente, e di cui parlando mi prende una sorta di pugno allo stomaco (perché non è mai facile parlar male dei difetti di coloro a cui si vuol bene, soprattutto quando le parole che pronunci possono avvalorare certi luoghi comuni) è che, come si dice da quelle parti, "finieru i picciuli", sono finiti i soldi. La macchina dei partiti, con una regione a rischio default, non è più in grado di elargire promesse lavorative come nei decenni precedenti, alimentando quel sistema clientelare che, in una regione con evidenti problemi occupazionali, è sempre stata in grado di spostare i voti in maniera massiccia. 


Di questa assenza della politica, ad ogni livello abbiamo visto, ha tratto sicuramente giovamento il Movimento 5 Stelle, che con l'immagine di freschezza, quanto meno nei volti, che porta con se, è stata capace di rappresentare con maggiore forza la voglia di rinnovamento dei Siciliani. Il loro guru comunicativo, Beppe Grillo, in questo senso è stato capace più di altri leader, di interpretare lo spirito del momento (di cui avevamo parlato a suo tempo su questo blog, con la nascita del movimento dei Forconi). Dedicando ben venti giorni ad un tour de force di comizi elettorali nelle piazze Siciliane, raccontato ampiamente dai media in queste ultime settimane, è riuscito a raccogliere i voti in maniera disuniforme tra i delusi della politica, gli ex elettori del centro destra in crisi d'identità e gli elettori del centro sinistra non convinti dalla alleanza Pd-Udc (ci torniamo a breve, certo). Il 14,9% dei voti lo pone come partito maggiormente rappresentato nell'assemblea regionale, e questo, aldilà del porsi al di fuori dalle alleanze con i partiti, pone il movimento in una posizione di responsabilità che dovrà essere in grado di esercitare con intelligenza.



Rosario Crocetta, il nuovo presidente della Regione, dovrà farsi carico di queste difficoltà, presentando una coalizione, probabilmente dinamica, in grado di rispondere alle richieste che emergono da questa tornata elettorale. Eletto con i voti del Partito Democratico (al 13,4%, a cui vanno ad aggiungersi il 6,2% della lista di sinistra Crocetta Presidente) e dell'Udc (al 10.8%) ha portato il centro sinistra al governo dell'Ars, come mai era avvenuto da quando l'elezione del presidente avviene in maniera diretta. Primo sindaco dichiaratamente omosessuale in un comune come Gela ad alta densità mafiosa, eletto nelle liste del PCI, si è distinto in quegli anni per la sua attività antimafia, facendo svolgere gare d'appalto in presenza dei carabinieri o licenziando dipendenti comunali vicini alla mafia. La sua candidatura tuttavia non è stata immune alle critiche, anche dai movimenti antimafia, per la scelta pragmatica, ed apparentemente in antitesi con la sua storia personale, di allearsi con l'UDC, il partito del Cuffarismo, con tutto ciò che da questo deriva. Una scelta di cui si è fatto garante, e sulla quale si gioca buona parte della propria credibilità politica, ma che, con tutta probabilità rappresentava l'unica maniera per sedere per una volta al tavolo decisionale della Regione, e non esercitare il ruolo di opposizione a cui storicamente è relegato il centrosinistra in Sicilia.

Una vittoria che pone in ogni caso interrogativi, oltre che sulla riuscita della legislatura, anche sul piano delle scelte che dovranno essere fatte a livello nazionale da qui alle prossime elezioni politiche, ma che in ogni caso propone un cambio di campo.

Del resto un presidente della Regione in Sicilia antimafioso, comunista e dichiaratamente omosessuale nessuno avrebbe potuto immaginarlo, qualche anno fa.

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