Diario di un brianzolo alla Diada “histórica” de Catalunya


Lo scorso 11 settembre una marea umana ha chiesto,
a gran voce, l'indipendenza della Catalogna
dal governo centrale di Madrid.

Giacomo Imperatori, già "corrispondente" per Brugherio de "Il Giornale di Monza", vive a Barcellona ormai da qualche anno. Dopo l'articolo sulle elezioni spagnole, che abbiamo pubblicato a novembre qui, ci racconta cosa è successo a Barcellona la scorsa settimana.


Il mio primo 11 settembre a Barcellona lo ho vissuto 5 anni fa. Appena arrivato per l'Erasmus, quando mi dissero che l'università sarebbe rimasta chiusa arrivai perfino a pensare che si trattasse della commemorazione dell'attacco alle Torri Gemelle. La stramba ipotesi a stelle e strisce fu poi spazzata via dal fiume di bandiere con le quattro righe rosse su sfondo giallo che riempirono la città.

Da allora ho potuto conoscere sempre più la Catalogna, la sua gente, la sua cultura e non ho voluto mancare alla Diada “histórica”, come è stata annunciata da tutti gli organi di comunicazione nei giorni precedenti.

La realtà ha perfino superato le aspettative: un milione e mezzo di persone (il 20% della popolazione catalana) hanno invaso Barcellona sin dal primo pomeriggio rendendo impossibile un regolare svolgimento della manifestazione. Migliaia di manifestanti hanno dovuto utilizare percorsi alternativi per raggiungere il Parlament de Catalunya dove, quando già era calato il sole, ancora riceveva visite.


Questo 11 settembre 2012 è stato storico anche perché, per la prima volta dopo molto tempo, il messaggio della manifestazione era chiaro e condiviso: “Catalogna nuovo stato d'Europa”. Tutte le forze politiche hanno così lasciato da parte le ataviche divisioni interne e si sono uniti nella stessa richiesta d'indipendenza. L'unica voce fuori dal coro è stata quella del Partido Popular che ha stigmatizzato la manifestazione perché anteporrebbe egoisticamente gli interessi regionali ai gavissimi problemi economici che affliggono lo stato spagnolo.

Se ci fossero dubbi riguardo alla purezza dell'orgoglio dei catalani, però, basti pensare che, al contrario di quasi tutte le altre feste nazionali, questa ricorrenza trova la sua origine nella più grande sconfitta della loro storia. L'11 settembre 1714, infatti, Barcellona cadde nelle mani di Filippo V dopo 14 mesi d'assedio durante i quali furono arruolati perfino i bambini per difendere la città. Il successo dei Borboni portò alla creazione di un Regno centralizzato a Madrid che cancellò tutte le istituzioni catalane che per secoli avevano governato i territori controllati da Barcellona.

Questa disfatta provocò al popolo catalano ferite così profonde che bruciano ancora oggi, soprattutto durante questa Diada “histórica”. Lo si avverte chiaramente dal tono drammatico delle rivendicazioni per la difesa di lingua e tradizioni, ma soprattutto degli appelli per la creazione di uno stato autonomo, come nel tempo in cui il dominio catalano si estendeva per tutto il Mediterraneo arrivando fino ad Alghero.


La passione che emanava quella chiassosa marea giallorossa era così contagiosa da stimolarmi una inedita simpatia per una causa che non mi ha mai emozionato in questi ultimi tre anni vissuti a Barcellona. Improvvisamente, però, la visione dello striscione “La Lombardia, solidaria con il popolo catalano”, scritto con caratteri verdi in lingua locale, mi ha provocato un sussulto interno, sia a livello razionale che emotivo.

Non essendo mai stato un simpatizzante leghista, in primo luogo ho pensato che un'equivalenza o anche una semplice associazione tra la Padania e la Catalogna rappresentasse un insulto all'enorme bagaglio storico e culturale che ogni catalano si porta dentro. Ho perfino immaginato quanto (poco) possa essere gradito dalla maggior parte dei politici catalani un gesto di solidarietà da parte di un partito come la Lega Nord


Ma poi, ragionando con più calma, sono arrivato alla conclusione che le due rivendicazioni, poi, non sono così diverse. Come sempre, infatti, la questione è economica. Lo prova il fatto che solo una crisi come l'attuale è riuscita a compattare tutto lo schieramento politico catalano e a rendere “histórica” questa Diada grazie all'ormai inequivocabile richiesta d'indipendenza. Perfino Artur Mas, attuale presidente della Generalitat, la regione catalana, ha minacciato estremi rimedi in caso non si raggiunga un nuovo patto fiscale con il Governo di Madrid. E ovviamente Mas non fa parte delle frange estreme indipendentiste, ma è uno dei personaggi di spicco della coalizione conservatrice nazionalista formata da Convergència e Unió.

In uno strano effetto domino mi sono poi venuti alla mente tutte le altre rivendicazioni ricorrenti sia nel breviario catalano che in quello padano. “Al sud non pagano le autostrade”, “Noi manteniamo il resto del paese”, e soprattutto “Ma che ci vai a fare a Madrid?!?” pronunciata con stupore da alcuni amici di Barcellona alla vigilia di un mio weekend nella capitale spagnola. Fu un déjà vu: poco tempo prima un mio familiare, padano doc, ma tutt'altro che leghista, mi fece la stessa domanda in merito ai miei programmi di visita a Napoli con la mia fidanzata catalana.


Rimane però una differenza chiave tra le due istanze indipendentiste. Se la Lega sta cercando in ogni modo di costruirsi da zero un proprio heritage culturale andando a pescare in tradizioni celtiche di dubbia provenienza (e gusto), la Catalogna invece vanta solide e raffinate basi in materia. 

Utilizzare questi beni preziosi per mal celare fini prettamente economici è davvero poco meritorio, soprattutto per un popolo nobile come quello catalano. Purtroppo, ancora una volta, le differeze culturali, invece di stimolare confronto, condivisioni ed arricchimento, diventano l'alibi perfetto per fomentare divisioni le cui vere motivazioni vanno ricercate ad un piano molto meno nobile.


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