19 luglio 1992. Una strage di Stato

L'aria a Palermo era ancora tesa, nell'atmosfera, percepibile, che qualcosa altro potesse ancora accadere. Un botto sparato in aria da qualche banda di ragazzini, come lo eravamo allora noi, era sufficiente per spezzare le gambe dalla paura.
Non sarebbero bastate, era chiaro, le manifestazioni che si erano ripetute in quei lunghissimi, brevissimi, cinquantadue giorni, per fermare il piano attuato dai Corleonesi per quell'estate del 1992. 

Paolo Borsellino, dopo l'attentato a Falcone,
divenne il magistrato più esposto.

E si può dire che avremmo cominciato a conoscerlo soltanto allora, quando instancabile, sembrava voler dimostrare a se stesso, e a quei Siciliani che avevano creduto nel lavoro del pool antimafia, che quel processo non si sarebbe arrestato con la morte di Falcone. 

Ho rivisto su youtube (lo si abbia in Gloria) il video dell'unica volta in cui ebbi la fortuna di ascoltarlo, al termine della fiaccolata organizzata dall'Agesci, l'associazione degli scout Cattolici, ad un mese dalla morte di Falcone, nella stessa chiesa in cui si era tenuto il suo funerale.

Si concesse spesso, in quel periodo, a chiunque chiedesse la sua testimonianza, attraverso interviste ed incontri, ed in tutte quelle occasioni ribadì con fermezza, la solitudine ed il clima di ostilità nel quale spesso si erano trovati ad operare. Ostilità all'interno del Tribunale di Palermo, e da parte delle Istituzioni che non seppero, non vollero, fornire tutti gli strumenti per accelerare il corso delle indagini in atto in quel periodo.

E fa una certa impressione, alla luce di ciò che raccontano le indagini che dominano le pagine dei giornali di questi ultimi mesi, rileggere, riascoltare quei discorsi.
Pensare agli incontri, tanti, più o meno noti, che si incasellavano nell'agenda rossa durante quei giorni, poi misteriosamente scomparsa subito dopo l'attentato. Al senso di impotenza nell'apprendere, durante quegli incontri, che una parte dello Stato stava cercando di scendere a patti con uomini della mafia per trovare una via di fuga da quella situazione. 

Sembra riaffiorare una rabbia composta, insieme ad una consapevolezza ferma, come ebbe a ripetere durante una di quelle interviste, "di essere cadavere che cammina", che lo spinse a tentare di spiegare, con ogni strumento in sua forza, il senso di ciò che accadeva in quelle giornate, come a volere fornire una chiave di lettura verso ciò che sarebbe successo da li a poco. 

E che ancora resta difficile da decifrare, a distanza di vent'anni, tra depistaggi e verità che faticano a venire fuori. Rendendoci ancora adesso, e chissà per quanto tempo, ignari, sui veri mandanti di quelle stragi. Vittime ancora una volta, troppo spesso per la storia di un paese civile, di mezze veritàdi ipotesi e supposizioni a cui si dovrebbe rispondere esclusivamente con una ricerca univoca di una verità storica e giudiziaria. 

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