Made in Italy
Il quotidiano online L'Inkiesta propone questa settimana due interessanti approfondimenti sull'industria italiana.
Il primo articolo che vi proponiamo riguarda l'industria "dell'automotive" ed in particolare Fiat. Il reportage è firmato Saro Capozzoli fondatore della società di servizi Jesa Investment e lavora in Cina da molti anni. Su Linkiesta racconta della storia di FIAT in Cina, di certe valutazioni errate fatte trent’anni fa, del percorso fatto in questi anni e di come adesso si cerchi di colmare il terreno perduto lanciando la 500.
«In Cina non avete le strade, dove pensate di metterle le auto?». Era il 1982 e fu questa la risposta dei vertici di Fiat ai cinesi che proponevano una joint venture per portare le auto di Torino a Pechino. Trent'anni dopo l'85% del mercato cinese è occupato da marchi stranieri. Fiat è così arrivata tardi, ha sbagliato le alleanze e ora punta ad un misero 2%. Per raggiungerlo Marchionne vuole portare in Cina la 500, dopo che già la Smart ha fallito, ad un prezzo che dovrebbe essere di oltre 20 mila euro mentre la rivale cinese costa un quarto.
Il secondo reportage che vi proponiamo analizza e fotografa la situazione attuale dell'industria chimica.
Dal 2005 a oggi l’industria chimica italiana ha perduto 20 mila posti di lavoro su 110 mila. Tuttavia, in Europa, restiamo terzi dopo Germania e Francia. Un risultato non da poco per un settore che ha dovuto imparare a fare a meno dei grandi gruppi.
Un comparto, quello della chimica, fortemente specializzato ed internazionalizzato, vocato all’export, caratterizzato da cospicui investimenti in ricerca ed innovazione e che conta ca. 2.800 imprese che occupano ca. 110.000 addetti, in calo di 20 mila unità rispetto al 2005.La chimica italiana si regge ormai da diversi anni su imprese di piccole medie dimensioni, visto che ca. l’85% di queste hanno meno di 50 addetti. Scelta obbligata, verrebbe da dire, dopo che con lo sgretolamento dell’impero Montedison prima e di Enichem poi – ossia di chi ne raccolse l’eredità – il nostro Paese ha abbandonato ogni velleità di poter disporre, analogamente ad altri Paesi europei, di almeno un grande player.
Viaggio in un grande comparto industriale, dove si vive solo se si investe...
Continua a leggere i reportage sul sito de L'Inkiesta
DoppiaM
Il primo articolo che vi proponiamo riguarda l'industria "dell'automotive" ed in particolare Fiat. Il reportage è firmato Saro Capozzoli fondatore della società di servizi Jesa Investment e lavora in Cina da molti anni. Su Linkiesta racconta della storia di FIAT in Cina, di certe valutazioni errate fatte trent’anni fa, del percorso fatto in questi anni e di come adesso si cerchi di colmare il terreno perduto lanciando la 500.
«In Cina non avete le strade, dove pensate di metterle le auto?». Era il 1982 e fu questa la risposta dei vertici di Fiat ai cinesi che proponevano una joint venture per portare le auto di Torino a Pechino. Trent'anni dopo l'85% del mercato cinese è occupato da marchi stranieri. Fiat è così arrivata tardi, ha sbagliato le alleanze e ora punta ad un misero 2%. Per raggiungerlo Marchionne vuole portare in Cina la 500, dopo che già la Smart ha fallito, ad un prezzo che dovrebbe essere di oltre 20 mila euro mentre la rivale cinese costa un quarto.
Il secondo reportage che vi proponiamo analizza e fotografa la situazione attuale dell'industria chimica.
Dal 2005 a oggi l’industria chimica italiana ha perduto 20 mila posti di lavoro su 110 mila. Tuttavia, in Europa, restiamo terzi dopo Germania e Francia. Un risultato non da poco per un settore che ha dovuto imparare a fare a meno dei grandi gruppi.
Un comparto, quello della chimica, fortemente specializzato ed internazionalizzato, vocato all’export, caratterizzato da cospicui investimenti in ricerca ed innovazione e che conta ca. 2.800 imprese che occupano ca. 110.000 addetti, in calo di 20 mila unità rispetto al 2005.La chimica italiana si regge ormai da diversi anni su imprese di piccole medie dimensioni, visto che ca. l’85% di queste hanno meno di 50 addetti. Scelta obbligata, verrebbe da dire, dopo che con lo sgretolamento dell’impero Montedison prima e di Enichem poi – ossia di chi ne raccolse l’eredità – il nostro Paese ha abbandonato ogni velleità di poter disporre, analogamente ad altri Paesi europei, di almeno un grande player.
Viaggio in un grande comparto industriale, dove si vive solo se si investe...
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