Il compleanno dell'Italia (3)


Oggi ero proprio indeciso sull'argomento del post quotidiano di approfondimento sul compleanno dell'Italia, che festeggiamo domani.

Avevo in mente di parlare di quanto successo in alcune parti d'Italia ieri e oggi (e anche, a maggior ragione, avverà domani), ovvero della incredibile scelta della Lega di disertare le celebrazioni ufficiali, non ascoltare l'Inno nazionale, fingere le più increbili scuse per non partecipare al compleanno dell'Italia.

Ma ho deciso che daremmo troppo spazio a chi conduce una politica miope e di rottura. Allora ho cambiato idea...

Oggi è l'ultimo giorno da direttore de Il Sole 24 ore di Gianni Riotta. Non mi interessa qui commentare la notizia. Il saluto del direttore ai lettori è tutto dedicato alla festa di domani: il linguaggio è magari un po' buonista qua e là, ma mi sembra interessante riportare ciò che scrive Riotta:

Domani, 17 marzo, festeggeremo insieme i 150 anni del nostro paese, l'Italia. Per 24 ore, come ha voluto con sincera passione il presidente Giorgio Napolitano, chiunque abbia il privilegio della nostra cittadinanza potrà gioire. Gioire delle glorie del nostro passato, della felicità del nostro paesaggio, Alpi, pianura Padana, Roma, Mar Mediterraneo, degli assi dello sport, la bellezza degli artisti, fino alla vita quotidiana che tutto il mondo sogna, gli spaghetti, i pranzi familiari, un pullover che fa moda italiana anche se costa due euro, andare in bici su strade battute dagli eserciti dell'antichità, le chiese, gli stadi, gli ospedali, le scuole, un paese unico e da amare.

Essere italiani è spesso una fortuna che si percepisce solo passando la frontiera, quando schiudendo il passaporto con l'umile simbolo della ruota dentata si è accolti da una simpatia rara: noi siamo a casa un po' dovunque, vuoi per l'emigrazione, vuoi per la fama che i nostri pregi, il Rinascimento, e i nostri difetti, la mafia, ricevono da musei, film, università, spot tv. Per secoli, pur parlata o scritta solo da esigue minoranze, la lingua italiana ci ha tenuto insieme, più dei confini, degli eserciti, della moneta, della fede. Siamo un popolo che si riconosce perché parla italiano e questo spiega tanto dell'agitazione della nostra politica, dei nostri media, della nostra tendenza al melodramma, di cui siamo i maestri.

La festa di domani ha riportato in prima pagina la diplomazia di Cavour, il coraggio di Garibaldi, gli ideali di Mazzini, che sembravano relegati nei libri al ginnasio. C'è ancora tempo per ricordare le generazioni di donne e uomini semplici che hanno reso l'Italia grande, un paese privo di risorse e chiuso tra Europa e Asia diventato grazie al loro lavoro, alla dedizione in famiglia, al genio dell'artigianato, leader nel mondo.

Festeggiando le nostre 150 candeline ricordiamo anche con umiltà e compassione quelle che rappresentano anni e scelte oscure dei nostri antenati, i giorni della dittatura, dell'ingiustizia, della povertà. Non ci si può gloriare al sole della nostra storia migliore e cancellare il buio. Essere italiani vuol dire riconoscere e farsi carico di ogni giorno del passato, la felicità del 25 aprile della Liberazione e del 2 giugno della Repubblica come i giorni dell'odio: sempre la sofferenza distilla saggezza.

Ha ragione Riotta a ricordare che "una giornata di gioia non cancella certo i problemi italiani"; ma per un giorno è importante ritrovarsi a discutere dei motivi che ci fanno stare insieme, e di ciò che di meglio possiamo fare, TUTTI, per il nostro paese...

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