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"Mi chiedo che Paese siamo diventati"

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il presidio in ricordo di Pasquale Romano Roberto Saviano ha provato a scrivere su   Repubblica  di ieri tutta la sua rabbia per la morte di Lino Romano, ragazzo innocente ucciso dalla camorra. Il trentenne di Cardito ucciso a Napoli nel quartiere di Marianella non era il vero obiettivo dei sicari,  che volevano colpire un elemento già noto alle forze dell'ordine e legato al mondo dello spaccio. "Per quanto ormai senta inutili le mie parole - scrive Saviano - provo a capire che paese è quello in cui un ragazzo va a salutare la propria fidanzata e viene". "Mi chiedo che Paese siamo diventati. Che Paese è quello in cui un ragazzo va a salutare la propria fidanzata prima di una partita a calcetto, scende di casa e viene massacrato da una sventagliata di mitra . Che Paese è quello in cui i media considerano questa, tutto sommato, una notizia che può esser data in coda alle altre, e non la notizia principale, da dare per prima. Una delle tante. Quel ragazzo

"Noi siamo di più"

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Da oggi ho uno slogan nel cuore che vale più di tutti gli «Yes we can» del mondo. L’ho sentito fiorire sulle labbra di una ragazza napoletana, prostrata dall’assurdità di una sofferenza insostenibile. Si chiama Rosanna Ferrigno, fa la segretaria in uno studio medico e l’altra sera ha dovuto raccogliere sotto casa il cadavere del promesso sposo, crivellato dalla camorra con quattordici proiettili. I camorristi hanno confuso il suo Lino, che stava andando a giocare a calcetto, con uno di loro. La gratuità del crimine e l’estraneità della vittima hanno scosso l’abulia di una città che da troppi secoli sopporta la malavita organizzata come una forma endemica di malaria. Poi è arrivata Rosanna. Non ha pianto in pubblico, non ha insultato le istituzioni, non ha elargito finti e precoci perdoni. Ma l’amore e il dolore le hanno dettato parole decisive: «Non bisogna avere paura dei camorristi. Sono loro che devono avere paura di noi. Noi dobbiamo continuare a uscire per la strada