Nel nome di chi è venuto prima, nell’amore per chi verrà dopo
Perseguitati, deportati, marchiati.
Torturati, violentati, usati come cavie.
Fucilati, sbranati vivi dai cani, rinchiusi nelle camere a gas.
Donne e uomini, giovani e anziani, persino bambini e neonati. Alcuni di questi erano nostri connazionali.
Lo era Sergio De Simone, a cui, per esperimento, furono inoculati i bacilli della tubercolosi. Gli furono asportati i linfonodi per analizzare un'eventuale risposta degli anticorpi e, quando tutto risultò inutile, fu impiccato con i ganci che si usano nelle macellerie. Aveva 7 anni.
Lo erano i 9.034 ebrei deportati dall'Italia ad Auschwitz, a Bergen Belsen, a Ravensbrueck, a Buchenwald e a Mauthausen. A morire lì, in quei campi, furono in 7.562.
Lo è Liliana Segre che, il 30 gennaio del 1944, a soli 13 anni, fu deportata da Milano nel lager di Auschwitz-Birkenau, insieme a suo padre. Non lo rivide mai più.
Questo è quello che è stato.
Oggi, domani, sempre.
Barbara Pollastrini, su Immagina, fa questa riflessione:
“Ricordare il futuro”. Tre parole soltanto, ma sono bastate a David Grossman per trasmettere il senso profondo della memoria. Quella che facciamo coincidere con il 27 gennaio. Quel giorno del 1945 le truppe sovietiche abbattevano i cancelli di Auschwitz e il mondo si trovava dinanzi al Male assoluto. La Shoah, il genocidio di un popolo, l’orrore per lo sterminio di milioni di ebrei, e sinti, rom, omosessuali, deportati politici. E donne e bambini.
Vorrei poter dire che mai sarà consentito dimenticare. E invece so che l’orrore potrebbe tornare. Al fondo anche allora visse perché ci fu chi quell’orrore volle, chi lo praticò, facendolo entrare nella storia sotto i simboli nazisti o nel silenzio colpevole dei tanti, troppi, che tacquero.
Ricordare è anche il modo – forse l’unico modo – per consegnare a quella pagina oscena il suo carico di memoria tessuto attorno a nomi, volti, racconti.
Etgar Keret è uno scrittore. È nato a Tel Aviv nel 1967, oltre due decenni dopo il Male. Lui racconta che quando, bambino, lo portarono a un Museo dell’Olocausto la cifra scoperta, i sei milioni di ebrei uccisi, lo scioccarono, ma non lo fecero piangere, come fosse una dimensione irreale nella sua sciagura. Pianse, invece, e tanto a un racconto della madre e all’idea che lì, dentro il ghetto di Varsavia, la persona a lui più cara, rubato un pezzo di pane, se lo era trattenuto senza mangiarlo per il desiderio di annusarlo più a lungo finché a portarle via quel pezzo di vita non era stato un gatto o un topo.
Ricordare il futuro, allora, perché anche così l’umanità può riscattarsi da piaghe e orrori.
Liliana Segre – la Senatrice della Repubblica, Liliana Segre – lo insegna ogni giorno da anni. Il mio amico, Lele Fiano, ha appena ripercorso quella tragedia attraverso gli occhi della sua famiglia e di un padre assai amato e salutato da poche settimane.
Tante sono le guerre sparse ancora nel mondo. Le violenze, gli abusi e le torture, odi e disperazioni in angoli e continenti diversi. Ma troppe sono anche le rimozioni in questa fragile e preziosa democrazia. Volgere lo sguardo a quel dolore è il nostro modo di preservarne la radice che deve rimanere il vincolo sacro della dignità, della inviolabilità, di ogni essere umano.
Per tutto questo il 27 gennaio è parte di noi.
Una parte intima e una parte pubblica da condividere nell’idea irrinunciabile che per la libertà ci si deve continuare a battere.
Nel nome di chi è venuto prima, nell’amore per chi verrà dopo.
A lei si aggiunge il Segretario nazionale, Nicola Zingaretti:
Il 27 gennaio 1945 furono abbattuti i cancelli del campo di sterminio di Auschwitz, il luogo simbolo dell'odio nazista e della Shoah, dove furono uccise milioni di persone innocenti.
Quest’anno non sarà possibile, a causa del Covid. Ma la memoria non si può fermare.
Per questo dobbiamo tenere gli occhi ben aperti: la memoria sulla tragedia prodotta dal nazifascismo è indispensabile per tenere vive le ragioni e la necessità della democrazia e dei valori che la sorreggono, e per sbarrare la strada a chi vorrebbe di nuovo dividere gli esseri umani soffiando sulle paure e sulle angosce delle persone. Andare alla radice dell’odio e comprendere come l’uomo finì in quel vortice di crudeltà è la più importante condizione per poter dire MAI PIÙ.