Il futuro delle campagne digitali? Tornare nei quartieri


È stato ripetuto fino quasi a diventare un mantra: la politica, e la comunicazione che se ne fa, dovranno sempre di più misurarsi con un nuovo scenario dove a farla da padrone sono i social network e, più in generale, il mondo del digitale.
Ma l’affollarsi di pagine e gruppi sulla rete davvero significa che dovremo fare i conti con una agorà sempre più virtuale dove carne, ossa e gambe contano sempre meno?
Ne parla con Democratica Cristopher Cepernich, sociologo e docente dell’Università di Torino, autore del volume di recente uscita edito da Laterza Le campagne elettorali al tempo della networked politics.
A leggere il suo libro si direbbe che a salvare la politica potrebbe essere il ritorno a qualcosa di antico.
Il punto è proprio questo. Il digitale ha segnato un ritorno alla comunicazione di prossimità e di relazione, lo vediamo tutti i giorni sui nostri profili Facebook. A partire da questo assunto abbiamo ragionato sullo sviluppo delle campagne elettorali digitali, che sono cosa diversa dalle campagne online, per intenderci quelle basate su sponsorizzazioni e targetizzazioni.
Occuparsi di comunicazione digitale significa rimettere al centro il soggetto e le sue relazioni. Mettere al centro la rete in quanto tale non funziona più, la storia ci insegna che il web svolge ormai un ruolo organizzativo. Si pensi alle campagne di Obama: la rete è stata uno straordinario strumento di organizzazione che ha contribuito, poi, a far uscire le persone di casa.

In Italia si è fatto qualche tentativo, anche da parte dello stesso Pd.
Si è fatto qualche esperimento ma senza portarne a termine le conclusioni. Quello che occorre è un colpo d’ala. Il ritorno del soggetto significa portare i cittadini a uscire di casa, e di questo c’è ancora abbastanza paura.

È un timore che si può spiegare con certi eccessi della protesta populista?
È di certo l’effetto del populismo imperante, ma chi fa politica davvero di questo non dovrebbe avere troppa paura. Se si va in giro la sventagliata populista va messa in conto, ma quello che abbiamo visto con la nostra ricerca è che c’è anche grande disponibilità da parte di tanti che aspettano solo di essere organizzati.

Dunque il community organizing digitale come nuova forma di mobilitazione?
E’ uno degli strumenti, inteso come attivazione del soggetto nel proprio territorio. Il futuro delle campagna digitali è il microcosmo, in altre parole il quartiere. E’ lì che si incontrano e si coinvolgono i cittadini. L’approccio dei politici negli ultimi anni è stato ai temi, invece nella declinazione del microcosmo di ciascuno di noi il tema diventa pratica, concretezza.

Ci faccia qualche esempio.
Lo abbiamo visto a Torino: mentre il tema declinato in tv era ad esempio il lavoro, per strada con i volontari c’erano riferimenti al quotidiano, dall’erba non curata allo spacciatore all’angolo. Nelle campagne digitali non si può più separare la comunicazione dall’azione politica.

In pratica vanno messe in cantina le ‘promesse elettorali’…
Sì, perchè oggi c’è poca fiducia nell’attore politico. La reintermediazione del messaggio politico avviene dai cittadini verso altri cittadini e sempre meno dai media, come dimostrano gli share dei talk show. Il tema è come declinare la campagna digitale in termini di azione, perchè è lì che si ristabilisce la fiducia.

Ci parli brevemente dell’esperienza di Torino.
Abbiamo proposto un modello di organizzazione dei volontari basato sul porta a porta, coinvolgendo più di 400 persone in condizioni obiettivamemte difficili. Nelle sezioni elettorali dove il porta a porta è stato più spinto la partecipazione al voto è stata maggiore di quasi 9 punti rispetto alla media cittadina.

Sta dicendo che il porta a porta può essere una risposta al problema dell’astensionismo?
La sfida strategica è proprio questa, ri-mobilitare chi è rimasto a casa. Un’impostazione basata su prossimità e micronarrazione può innescare questo processo. Se si praticasse questa modalità con maggiore continuità, invece di accenderla o spegnerla a seconda delle scadenze elettorali, forse si produrrebbero più risultati.

E i leader, in questo contesto?
Una forte leadership, un leader emozionale, sono e restano un forte fattore di ingaggio e di mobilitazione individuale.

Ma non era Grillo il ‘campione’ della mobilitazione digitale?
Ormai è vero l’opposto. C’è un grosso equivoco, e cioè che quelle dei C inque stelle siano campagne digitali avanzate. In realtà Grillo è in una grossa fase di involuzione. Nei meet up degli inizi c’era l’idea di prossimità, ma ormai la tendenza è a chiudersi e mettersi al di fuori del contesto reale, accentrando le decisioni e costruendo una specie di ‘cyber society’.

Chiudiamo con un consiglio al Pd.
Il consiglio è di riagganciare la comunicazione al microcosmo di ciascun elettore. Sì a una efficace presenza sui media, ma poi serve riagganciare le micronarrazioni nei territori e nei microcosmi individuali.

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