Il sogno indipendentista dei catalani e l'incubo di Artur Mas


Giacomo Imperatori da Barcellona ci aggiorna sull'esito delle elezioni in Catalogna, dopo la marcia indipendentista dell'11 settembre, che ci aveva raccontato qui.

Artur Mas non è riuscito a realizzare il sogno
di diventare il paladino dell’indipendentismo catalano.

Dopo la grande manifestazione dell’11 settembre scorso per l’indipendenza della Catalogna, il President proclamò le elezioni anticipate facendo un accorato appello ai catalani affinché gli garantissero un plebiscito nazionalista. Poteva continuare a governare per altri due anni con un’ampia maggioranza, ma aveva di sciogliere il Parlament per trasformarsi nel leader che avrebbe portato il suo popolo all’indipendenza.

Le elezioni di domenica scorsa, però, non gli hanno sorriso.


Se è vero che i catalani hanno sostanzialmente confermato il desiderio di avere uno stato proprio (la rappresentanza parlamentare dei partiti nazionalisti ed indipendentisti guadagna un seggio arrivando a 87 deputati su totale di 135), le urne hanno riservato un duro colpo per il presidente uscente: il suo partito, Convergència i Unió, perde 12 seggi, attestandosi a quota 50, lontano da quei 68 necessari a governare da soli.

CiU, federazione nazionalista conservatrice, rimane la forza egemone con oltre il 30% dei voti, ma nessuno dei suoi dirigenti ha potuto nascondere la delusione a conclusione della maratona elettorale. Le ragioni di questo flop vanno attribuite al President per i tagli decisi in questi due anni di governo al welfare regionale (sanità e educazione in primis) ed anche per il suo atteggiamento non proprio chiaro sul progetto indipendentista (Mas non ha praticamente pronunciato la parola “indipendenza” in campagna elettorale anche perché in passato CiU è sempre stata su posizioni molto più moderate e concilianti verso lo stato spagnolo).


La grande vincitrice di questa tornata elettorale è stata Esquerra Republicana che con quasi mezzo milione di voti passa da 10 a 21 seggi: un vero e proprio boom. La campagna elettorale del paffuto candidato Oriol Junqueras è stata “senza se e senza ma”: indipendenza dalla Spagna e blocco dei tagli alle prestazioni statali per i cittadini. Una schiettezza che gli elettori hanno dimostrato apprezzare nell’urna.

Il PSC, invece, continua la sua drammatica parabola discendente. Dal 2003 i socialisti catalani hanno perso la metà dei suoi consensi e nel prossimo Parlament potranno contare con 20 seggi, 8 in meno rispetto a due anni fa. Il PSC ha cercato di affermare la soluzione federalista, alternativa definita “sensata” rispetto all’opzione indipendentista, ma non ha convinto. Bisogna riconoscere che il suo candidato, Pere Navarro, non aveva un compito facile: doveva giustificare da una parte il centralismo del PSOE a Madrid e dall’altra la disastrosa eredità economica lasciata alla Generalitat catalana del governo socialista che precedette CiU e Mas.

In leggera ascesa il Partito Popular rappresentato dall’istrionica Alicia Sánchez-Camacho che guadagna un seggio, arrivando a 19 rappresentanti nel Parlament. Un caso molto interessante se si considera la drammatica situazione economica spagnola (la disoccupazione ha sfondato il 25%) che il PP a Madrid cerca di contrastare con una politica d’austerità e tagli al welfare che sta mettendo in ginocchio ampi strati della popolazione. In questo caso è bastato impugnare la bandiera spagnola per serrare i ranghi degli elettori di destra contro l’indipendentismo.

Un buon risultato (da 10 a 13 deputati) è ottenuto anche da Iniciativa per Catalunya, partito nazionalista, ecologista e di sinistra, il cui leader Joan Herrera ha fatto della pacatezza il leitmotiv della sua campagna elettorale. In controtendenza rispetto agli altri partiti ossessionati dalla questione nazionalista, Iniciativa ha puntato l’attenzione ai problemi economici che affliggono la società catalana chiedendo una maggiore attenzione dello Stato per i più deboli. Herrera si è quindi dichiarato favorevole ad una consulta popolare in merito alla creazione di un nuovo stato catalano, chiedendo però chiarezza estrema sulle modalità e le conseguenza di un cambio politico così radicale.

Infine, grandi risultati sono stati raccolti dai due partiti che, da posizioni opposte, completano il nuovo Parlament, Ciutadans e la CUP, Candidatura d'Unitat Popular. Ciutadans ha basato la sua campagna elettorale su una strategia “cerchiobottista” dal retrogusto populista (contro l’indipendentismo e contro i tagli) che le ha permesso di triplicare la propria rappresentanza parlamentare (da 3 a 9 deputati). La CUP, invece, entra per la prima volta al Parlament con tre rappresentanti che cercheranno di influenzare al politica catalana con la propria linea radicale, di sinistra e indipendentista.

In linea generale, queste elezioni regionali hanno delineato due realtà ineluttabili. In primo luogo i catalani hanno confermato che vogliono uno stato indipendente (quasi due terzi della rappresentazione parlamentare è nazionalista o indipendentista) e per ottenerlo sono pronti a esprimere la propria volontà nelle urne. Il 2 novembre, infatti, ha visto la maggior affluenza mai vista in democrazia per un’elezione regionale catalana, quasi il 70% degli aventi diritto ha votato.

Infine, dentro al Parlament, la questione principale sarà garantire stabilità in questo contesto economico drammatico, ancora prima di perseguire qualsiasi velleità indipendentista. I moderati catalani di CiU dovranno cercare di trovare una sintesi con i partiti nazionalisti di sinistra, Esquerra e Iniciativa, perché se cercassero un accordo con i partiti “spagnoli”, PP o PSOE, firmerebbero la propria condanna politica.

Il sogno indipendentista rischia così di trasformarsi per Mas nel suo peggiore incubo: c’è addirittura chi dice che dovrà fare un passo indietro e lasciare la presidenza della Generalitat al candidato d’Esquerra, Junqueras, per assicurare la governabilità durante la prossima legislatura.


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