I forconi e le forchette - la Sicilia in rivolta


Il vaso di pandora è stato scoperchiato.

Alle manifestazioni di categoria che in questi giorni riempiono le strade delle città Italiane, in difesa di piccoli e grandi privilegi, nonché di diritti sacrosanti, si è accodato il vento di una rivolta che ha gettato il proprio seme in Sicilia.

Se, vista da qui, questa può sembrare la faccia della stessa moneta, la "rivolta dei forconi", come iconicamente è stata chiamata dagli stessi organizzatori, ha sfaccettature ben diverse, per le condivisione delle istanze con cittadini di ogni livello sociale e poi per aver raccolto in poco tempo l'adesione di molte categorie.

Del resto, un punto di rottura nell'instabile situazione Siciliana, era nell'aria.

La disoccupazione che ha raggiunto livelli altissimi, di pari passo ad un'emigrazione davvero mai cessata, la chiusura di molti storici stabilimenti, che per qualche tempo hanno dato speranza al sogno di industrializzazione dell'Isola, le difficoltà dell'industria agricola, strozzata dalla filiera lunga e dalla concorrenza di mercati strutturalmente più competitivi, le limitazioni imposte dal sempre più impoverito settore della pesca, hanno spezzato le speranze di molti Siciliani, divisi tra un atavico vittimismo e una necessità di reagire alla situazione.

La Sicilia d'altronde, è terra di contrasti, ed a fare da contraltare alle ristrettezze di alcuni settori corrispondono le misure elefantiache del settore amministrativo, per anni serbatoio per assunzioni facili in prossimità di elezioni, dei fondi Europei mal gestiti e dispersi nei rivoli della burocrazia, delle ruberie della Sanità, settore del resto foriero di grandi appetiti in ogni parte d'Italia.

A far da substrato teorico e culturale alla protesta sono un regionalismo in salsa siciliana, di matrice indipendentista che, ciclicamente e in tempi di crisi della politica, si ripresenta nella storia dell'Isola (si parlava di indipendentismo dopo la seconda guerra mondiale, se ne tornò a parlare alla fine della prima repubblica, in correnti poi assorbite subito dopo dalla nascita di Forza Italia) come a ribadire il tema mai risolto della questione meridionale e del rapporto con un'Unità d'Italia più subita che accolta con favore da certe fasce della popolazione.

Una contaminazione quindi tra immobilismo e rabbia è quindi il germe da cui prendono il via le proteste di questi giorni, che ben presto però ha preso toni scomposti e si è dimostrata priva di un programma seppur minimo che allontanasse i toni da quel populismo di cui volentieri faremmo a meno.

Le ragioni per un'accoglienza istantanea dei siciliani per questi nuovi vespri, per questa presunta nuova primavera (ed in questo senso i social network sono stati da subito una buona cartina di tornasole), c'erano tutte, e con essa la solidarietà e la disponibilità a subire i danni che un blocco della circolazione pressoché globale avrebbe creato.

La voce che però veniva fuori dai primi comunicati, dai primi filmati delle manifestazioni, raccontava di invettive contro chiunque, dal comune più vicino, alle province e su fino allo Stato e all'Europa, parevano davvero troppo generalizzate, soprattutto se non accompagnate ad una proposta che suggerisse un'alternativa alla situazione presente. D'altro canto alla rabbia non si accompagnava nessuna autocritica verso un cattivo esercizio della democrazia, un rifiuto verso un assistenzialismo, che si è dimostrato negli anni più una stampella che non ha mai permesso di prendere a camminare con le proprie gambe, verso un atteggiamento maturo.

Non sono piaciuti poi a molti gli episodi di violenza verificatisi verso chi voleva comunque non aderire alla protesta, ed in questo Ivan Lo Bello, presidente della confindustria Sicilia, si è dimostrato ancora una volta coraggioso nel denunciare le possibili infiltrazioni mafiose, come sempre ben presenti quando si tratta di cavalcare l'aria che tira alla ricerca di nuovi equilibri e nuove alleanze.

Le ingerenze di alcuni settori della politica si sono mosse di pari passo, e sono state da subito state evidenziate le affinità con gruppi dell'estrema destra e con personaggi che cercano di rinnovare la propria credibilità in vista delle elezioni dei prossimi anni.

Dal punto di vista del cittadino, i disagi sono stati però notevoli, e reali. Gli scaffali dei supermercati sono stati svuotati dai beni di prima necessità, file chilometriche ai rifornimenti di benzina, a caccia dell'ultima goccia disponibile, servizi limitati da una circolazione ridotta dei mezzi, e danni calcolati in cinquecento milioni di euro, che senz'altro non faranno bene all'arrancante economia siciliana.

L'immagine restituita da questa settimana di caos, che adesso appare rientrare, è quella di una risposta sbagliata ad una richiesta legittima di soluzioni, ad una situazione critica accentuata da una crisi di proporzioni più vaste e che sembra non poter più sostenere sprechi e sperpero di risorse pubbliche, ma anzi pretende sacrifici nuovi a chi forse non è in grado di sostenerli.

Una risposta davvero troppo lontana dalla Sicilia che ogni giorno cerca, attraverso la legalità ed uno sforzo continuo, una risposta plausibile e concreta a problemi mai davvero risolti.

di Mauro Caruso, giovane siciliano traferitosi da poco a Brugherio per lavoro

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