Un metro e tre misure

È di giovedì la dichiarazione di Sergio Marchionne, amministratore delegato di FIAT: la nuova monovolume che doveva essere prodotta nello stabilimento di Mirafiori è verrà prodotta, invece, a Kragujevac in Serbia.

Le dichiarazioni allarmate del governo non si sono lasciate attendere e hanno chiaramente dimostrato l’uso di un metro e tre misure. Negli ultimi mesi sono stati messi in dubbio tutti gli investimenti negli stabilimenti italiani di FIAT ed in particolare Termini Imerese, Pomigliano e Mirafiori, uno per ogni zona (sud, centro-italia e nord).

A Termini, il governo, senza troppe resistenze, ha lasciato abbandonare le linee produttive per un non precisato futuro, ben chiaro solo nei pensieri dell’ormai ex ministro Scajola.

Pomigliano doveva essere un modello per tutti, un modello “o la borsa o la vita”, in cui i lavoratori con plebiscito stabiliscono se preferire un lavoro continuo con poche tutele o nessun lavoro.

Che una persona su tre scegliesse “nessun lavoro” non se l’aspettava “nessun governo”. Di conseguenza la FIAT, che opera da impresa e ricerca profitti, rompe gli indugi e rilancia con lo spostamento dell’investimento su Mirafiori, l’intoccabile feticcio dei verdi governanti nordisti. Il resto è storia recente: l’intervento a spada tratta dei celtici contro FIAT e le sue “battute” (cit. Calderoli).

Da questo excursus risulta evidente l’approccio federalista del governo, i lavoratori delle regioni più strategiche ai fini del voto vengono maggiormente difesi, questo governo risponde solo davanti suoi elettori e non davanti a tutti gli italiani. La solita concezione privatistica della politica.

Non si può trattare questo argomento senza tener conto del valore strategico di FIAT in Italia, la quale ha sempre ricevuto particolari “attenzioni” da parte dei governi (moltissimi) che si sono succeduti a Palazzo Chigi.

La situazione attuale è invece cambiata (nella forma): la FIAT è guidata da una persona sganciata da quel passato di clientele, capace di ripianare i debiti e riportare l’impresa a competere. Resta da interpretare l’approccio che è necessario assumere nei confronti di chi ha preso tanto in passato e che ha in mano il presente e il futuro di buona parte del settore industriale italiano.

FIAT da’ lavoro a quasi centomila dipendenti in Italia e conta su questo dato per ottenere le condizioni di lavoro che desidera. Nel caso non le ottenga in Italia? Segue le regole della globalizzazione, che pone nelle mani delle grandi compagnie il potere di scegliere in quale paese è preferibile produrre, computati tutti i costi: la manodopera, le infrastrutture e gli eventuali incentivi.

Questo potere, attenuato dalle dimensioni, è in mano anche alle piccole e medie imprese del manifatturiero italiano e a Brugherio ne stiamo vivendo le conseguenze con la cessazione d’attività della Marzorati, decisa negli ultimi mesi. La speranza sta nelle imprese del terziario che trovando qui lavoratori formati dovrebbero sostituire le imprese del manifatturiero partenti. Queste transizioni non sono prive di ostacoli e devono essere accompagnate dagli strumenti del welfare state e dalla formazione costante, il partito democratico lo sa e porta il suo impegno affinché non manchino ai lavoratori in difficoltà.

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