Le barriere architettoniche e la qualità della vita nelle nostre città


Oggi mi va di riflettere.

A volte fa bene fermarsi un attimo su di un proprio pensiero e girargli intorno fino a che non si è capito bene. Non si è perso tempo, anzi, è tempo guadagnato alla obiettività e chiarezza delle cose reali che ci stanno intorno.

Oggi mi va di riflettere e non solo, anche di scrivere due righe, solo due, su qualcosa che ho visto e mi ha convinto che c’è modo e modo di vivere: si può vivere, per abitudine, sempre nel modo peggiore, oppure si può migliorare con delle piccole, inavvertibili, modifiche alle cose che ci circondano.

Da un po’ di tempo (quasi tre mesi) per fatti privati, mi è capitato di convivere con una umanità sofferente e non solo per problemi di salute, ma anche per problemi di superamento di "barriere architettoniche". Le chiamano così queste piccole "disattenzioni" dell’umanità florida e sana che diventano "montagne invalicabili" per l’umanità sofferente.

Ho detto "piccole disattenzioni", ma da dove nascono questi piccoli errori? Da una mente distorta che non riflette mai su quali sono le vere priorità nella vita. Bisogna avere una "forma mentis" diversa per capire il prossimo. E non mi riferisco solo alle "barriere architettoniche".

Per aiutare l’umanità sofferente basterebbe fare in modo che i marciapiedi, oltre alla eliminazione, come è ovvio, delle buche nell’asfalto, fossero lineari e continui. La priorità nel cammino dovrebbe essere data all’uomo piuttosto che alla macchina, per cui ogni auto dovrebbe superare un piccolo dosso ad ogni passo carraio, mentre gli uomini, le donne, i vecchi ed i bambini dovrebbero percorrere un vialetto sempre in pari, senza discese e salite ogni tre metri. Non parlate di costi, perché ci vogliono gli stessi soldi per farle in un modo o nell’altro.

Un’altra piccola riflessione va alla "foresta urbana". Ne ho sentito parlare poco tempo fa e mi sono resa conto che è vero: là dove i parcheggi si arroventano d’estate e congelano d’inverno, con tanti posti stretti stretti in mille file di macchine di ogni tipo, basterebbe offrire più spazio alle piante. Basterebbe mettere del verde attrezzato in ogni posto possibile: aiuole, viali, zone sterrate, per avere più ossigeno e meno problemi di arredo urbano.

Certo, qui ci sarebbe un costo aggiuntivo: la manutenzione del verde, ma con tutti i forestali di cui possiamo disporre, non si potrebbe occuparli utilmente in quella che dovrebbe essere la loro vocazione? Curare le piante ed aiutarle ad essere forti e rigogliose? Ma la riflessione vera, di oggi, è una sola.

Questi miei pensieri mi hanno portato a capire che c’è modo e modo di vivere, che se avessimo una “forma mentis” più aperta alla socialità, se avessimo, quindi, la capacità di intuire ciò che è meglio per noi e contemporaneamente per gli altri (fate bene attenzione: non solo per noi, ma anche per gli altri) avremmo costruito delle strutture che non ci farebbero più nemmeno ricordare quelle bruttissime parole: "barriere architettoniche".

Annarita Minelli

P.S.: A Milano una strada costruita con questi criteri è lunga circa 500 metri ed è l’ultima parte di via Padova prima di piazzale Loreto, vedere per credere!

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