Costi della politica?

Pubblichiamo la lettera del sindaco di Sesto San Giovanni e vicepresidente di Anci Lombardia, apparsa su Corriere-Milano del 25 maggio

In questi giorni si discute molto dei guadagni dei politici e si fa di tutta l'erba un fascio, come spesso succede in questa nostra Italia. Si parla di ministri e di parlamentari, delle loro retribuzioni e della loro settimana corta, mai di amministratori locali.

Cercherò di colmare questo vuoto. Sono Sindaco della città di Sesto San Giovanni, la quinta della Lombardia per numero di abitanti, con circa 740 dipendenti.

Il bilancio è di 140 milioni di euro e ci sono progetti in corso per più di 4 miliardi di euro.
Lavoro tutti i giorni della settimana e mi chiamano di notte quando esce il Lambro o quando devo firmare il ricovero obbligatorio di un malato di mente. Mi occupo di urbanistica e di cimiteri, della Pro Sesto calcio che è fallita e della pulizia delle strade. Se sbaglio ad apporre una delle centinaia di firme che mi toccano ogni settimana passo guai seri.
Prendo 2.850 euro al mese per 12 mesi. Niente tredicesima, naturalmente.
I miei assessori che si occupano dei senza lavoro o di trattare con Caltagirone, di trovare una casa a chi non ce l'ha più o di discutere con Renzo Piano e che come me affrontano decine di assemblee non sempre tranquille vengono retribuiti con 1.900 euro al mese, sempre per 12 mesi.
Anni fa, quando si decise di tagliare le spese della politica, a noi è stato ridotto del 10 per cento il compenso, unico caso, credo, in Italia. Non c'è dirigente pubblico o privato con responsabilità simili alle nostre che venga retribuito così male. I nostri dirigenti, che dipendono da noi, che non vengono eletti e giudicati come lo siamo noi, guadagnano molto di più.

Questo non è solo un problema personale. E' invece, e lo sta diventando sempre di più, una questione di democrazia.

Sono via via più numerosi gli amministratori in carica che dichiarano apertamente che non si ricandideranno per una seconda volta ed è sempre più difficile trovare persone di qualità che accettino di mettersi al servizio delle loro città e dei loro paesi.

Tanto più che i Comuni sono soggetti a continui tagli di risorse decisi dal Governo centrale, alla riduzione senza sosta dei poteri e contemporaneamente all'attribuzione, ufficiale o reale, di nuovi compiti senza risorse.

Se la legge Gelmini getta su di noi le conseguenze anche economiche di scelte romane, se il «patto di stupidità» ci impedisce di spendere le nostre risorse, se la legge Ronchi da Roma ci imporrà presto di regalare le nostre aziende municipalizzate, perché mai fare il sindaco esposto alle critiche dei cittadini che non distinguono le colpe tra livello nazionale, regionale e locale? Per di più con l'accusa di guadagni che non esistono?

Il nostro è un servizio. Non un esercizio di masochismo. Il pericolo per la democrazia consiste nel fatto che, se questa realtà continuerà così, farà il sindaco o il pensionato o il nobile del paese. Come duecento anni fa.

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