La lezione di Vittorio Bachelet

Oggi ricorre il trentesimo anniversario della morte di Vittorio Bachelet, giurista e politico italiano, dirigente dell'Azione Cattolica ed esponente democristiano, vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, assassinato dalle Brigate Rosse nell'atrio della facoltà di Scienze politiche de La Sapienza, al termine di una lezione, mentre conversava con la sua assistente Rosy Bindi.

Di seguito il ricordo di Bachelet che Rosy Bindi ha pubblicato oggi sul suo sito.

Il più alto insegnamento spirituale e politico di Vittorio Bachelet è riconducibile alla sua morte. Forse è proprio per questo che più il tempo passa più la sua la sua testimonianza di cristiano appare luminosa e feconda. Più il tempo passa più si comprendono la sua eredità e il suo martirio. Vittorio Bachelet ha accettato di donare la vita per il proprio paese. E il suo sacrificio è stato un vero "martirio laico", come subito vide il cardinale Carlo Maria Martini, per affermare i valori di libertà e di democrazia, di giustizia e di pace. Si era preparato a questo dono da tempo con il suo impegno ecclesiale e civile, i suoi scritti, le sue meditazioni, i suoi frequenti riferimenti all'esempio ad altri martiri moderni, da Massimiliano Kolbe a Martin Luther King. E anche per questo, quando arrivò il momento, non oppose resistenza. Sapeva di correre ogni giorno un grave rischio e di essere un possibile bersaglio delle Br ma non ne parlava. Anzi, aveva persino rinunciato alla scorta, per evitare che altre vittime innocenti potessero essere coinvolte.

Credo che questa consapevolezza sia stata la fonte di quella profonda serenità che il presidente Sandro Pertini colse nel suo volto quando corse all'Università, subito dopo la notizia dell'agguato. Al figlio Giovanni, il presidente confidò che non aveva mai visto prima di allora un volto così sereno pur essendo stato testimone, fin dai tempi della Resistenza, di tante morti tragiche e violente. Era la serenità della buona coscienza, di chi si era messo sulle orme del Vangelo come il "servo inutile" affidando al Signore ogni gesto e ogni scelta del proprio cammino fino al martirio. È la serenità di chi crede profondamente nella forza redentrice della Croce. I segni di questa preparazione e di questa consapevolezza sono tanti, e in qualche modo, sono ricapitolati nel luogo in cui è stato assassinato.

Bachelet si era formato nella Fuci, l'associazione cattolica che ha scelto l'Università come il luogo in cui testimoniare la fede. Allo studio aveva dedicato tutta la sua vita e non vedeva l'ora di tornare all'Università, appena concluso il suo mandato al Csm, per riprendere il filo della sua ricerca e il rapporto con i giovani. I brigatisti avrebbero potuto colpirlo facilmente anche altrove, mentre usciva di casa o andava a messa. E invece misero in scena la finzione di una bomba per svuotare la facoltà di Scienze politiche e scelsero un martedì, il giorno della settimana in cui il professore non mancava mai la lezione.

Lo hanno colpito nella sua Università per colpire insieme al vicepresidente del Csm, simbolo di quelle istituzioni che il folle disegno delle Br voleva demolire, un grande giurista e un maestro esemplare. Nei suoi studi si era interrogato con passione sulle grandi sfide del cambiamento e sulle urgenze politiche di un paese che stava costruendo la propria democrazia, a cominciare dall'adeguamento e dalla riforma della Pubblica Amministrazione alla luce dei principi costituzionali. Del resto, il lavoro intellettuale e l'insegnamento erano il terreno privilegiato in cui dispiegare anche il proprio impegno civile.

Bachelet aveva una concezione ampia della dignità della politica, come costruzione della città dell'uomo, esercizio pieno della cittadinanza che si realizza innanzitutto nella propria professione, svolta con competenza, serietà e rettitudine. Era convinto, che non è sufficiente proclamare i valori costituzionali ma bisogna soprattutto attuarli e renderli operanti nelle Istituzioni e nella coscienza dei cittadini. E' stato un servitore della Costituzione e con sapienza ha cercato di inverarne i principi nel tessuto vivo della società. Non a caso, quando fu ucciso stava svolgendo una delle responsabilità pubbliche più complesse e delicate.

La sua elezione alla vicepresidenza del Csm aveva registrato una profonda lacerazione eppure riuscì a realizzare la massima unità. La magistratura era sotto attacco ben più che altri settori della vita sociale e il Csm era anche allora espressione di un grande pluralismo. Eppure Bachelet riusciva sempre a trovare la sintesi e ricomporre un punto di vista unitario. Facendo leva sui principi della Costituzione salvaguardava la funzione della magistratura come potere autonomo e indipendente ma sempre sottoposto solo alla legge e al servizio esclusivamente dello Stato e della comunità.
Questo invece il ricordo del figlio, Giovanni Bachelet, ora parlamentare del PD.

Post popolari in questo blog

Al via il tesseramento 2024

Promesse che durano meno di una settimana