La primavera araba non diventi un autunno
Prima li abbiamo temuti, barattando la stabilità delle loro autocrazie con la protezione dalle nostre paure del radicalismo e dell’immigrazione. Poi li abbiamo applauditi quando facevano la rivoluzione non violenta con facebook e i colori della bandiera sulle guance. Nel frattempo cancellavamo le vacanze in Tunisia e sul Mar Rosso, perché fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio. Poi ci siamo concentrati su di noi , sul panico europeo e sulle montagne russe dell’euro e abbiamo dimenticato che le transizioni alla democrazie sono lente e difficili. E più dure ancora, se la liberazione dai tiranni è stata lunga e violenta. Oggi, i media illuminano ancora il mondo arabo, dopo il tragico attentato di Bengasi e gli assalti scomposti ad alcune ambasciate americane. I realisti dicono “ve l’avevamo detto”: in fondo le élites arabe sono sempre state più filo-occidentali delle masse arabe, pronte invece ad infiammarsi dopo ogni stupida provocazione. Io credo, invece, che l’assalto vigliacc