Prodi: la globalizzazione, la crisi e il riformismo


Oggi, in un articolo su Repubblica, Mario Pirani da' uno sguardo all'economia italiana citando due recenti articoli di Romano Prodi sul Messaggero. Nel primo l'ex presidente del consiglio svolge un'analisi tecnica della situazione del nostro debito e dei nostri titoli di stato sui mercati finanziari, ma giunge ad una conclusione fortemente politica:
La lunga latitanza di decisioni, la dissoluzione della maggioranza, le tensioni interne al governo, l’avvicinarsi del voto sulla fiducia senza prospettive prevedibili per il dopo e le ripetute ipotesi di elezioni anticipate hanno aperto un fronte di instabilità che costituisce il campo più propizio per la speculazione internazionale.
Nel secondo Prodi si concentra sulle soluzioni che le forze riformiste possono dare per far crescere nuovamente l'economia europea. Ne citiamo alcuni passaggi:
A differenza dell’antico socialismo, il moderno riformismo non ripudia i fondamenti del mercato ma vuole semplicemente garantire che il mercato lavori in modo appropriato. A questo scopo è necessario che lo Stato ne controlli il corretto funzionamento.
La lista delle riforme necessarie appare spesso poco credibile. Questa lista è in generale scritta col bilancino, con l’occhio più attento agli “opinion polls” che alla capacità di risolvere i problemi, più dedicata a non scontentare che non a cambiare la società.
È evidente quanto sia difficile uscire dall’attuale situazione, perché questo implica da un lato la rinuncia ad un impossibile ed antistorico radicalismo e, dall’altro esige la ripresa di un riformismo vigoroso, il tutto accompagnato dall’indispensabile disciplina che deve fare parte di una moderna cultura di governo.
Quando parlo di vigoroso riformismo intendo la necessità di preservare e rafforzare il “welfare state”, difendere la salute, potenziare la scuola e la ricerca, proteggere il territorio, garantire la sicurezza e rendere più vivibili le città. Con la consapevolezza che tutto ciò può essere ottenuto solo con il contributo dei cittadini non indigenti, con il mutamento dei modelli lavorativi, con la necessaria lotta all’evasione fiscale, con la riforma del sistema pensionistico e con il trasferimento di risorse verso i settori che garantiscono il futuro, cioè la scuola e la ricerca. Un riformismo che deve tenere conto della globalizzazione, del fatto che l’Italia compete non solo con la Cina o la Germania, ma anche con la Turchia, la Serbia, la Polonia e gli Stati Uniti. Un riformismo possibile, in buona parte lo ha realizzato Schroeder in Germania ed è ormai un patrimonio comune dei Paesi del Nord Europa.

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